Una volta, durante un ritiro artistico a cui ero ospite c’era una partecipante, una musico-terapista con due bambini. Non so bene con quale sforzo ciclopico, lei ed il marito erano riusciti a portarli alla veneranda età di quasi sei anni senza far loro usare cellulari, tablet e limitando la tv a una o due ore. I due bimbi, quindi erano abituati a farsi leggere le favole, a sfogliare libri colorati e a sentire raccontare storie. Mentre stavamo cucinando, il bimbo mi chiede perché le melanzane sono viola. E fu così che una pasta alla norma divenne una favola sul monaco Gregorio Mendel e le sue scoperte sui piselli dal fiore rosso o bianco.
Quindi, perché ci piacciono le favole?
Prima di tutto perché sono belle! Si sono belle proprio perché ci ricordano che la vita può essere presa con leggerezza, perché si possono trattare argomenti difficili senza dover, per forza, finire a parlare di ermeneutica della finitudine, non me ne vogliano gli amanti di Kant, con i quali, tra l’altro, condivido la stima per l’autore. Intendevo solo dire che si può parlare di qualsiasi argomento in un tono che non sia troppo pesante.